Uno dei ruoli fondamentali del medico è quello di dedicare la propria attenzione alla prevenzione e di renderne comprensibile ai propri pazienti l’importanza. L’alibi che usiamo spesso con noi stessi è che per quanti sforzi possiamo fare è quasi impossibile modificare sostanzialmente le cose, quindi perché fare tanta fatica? Tanto i geni che ho ereditato dai miei genitori sono quello che sono…e se è destino che io sviluppi una patologia così sarà…tanto la città è inquinata, ma io sono costretto a viverci…cosa spengo a fare il wi-fi la notte quando non mi serve…tanto intorno a me ce ne sono altri dieci accesi…e così via per tanti altri esempi.

Le cose non stanno così. Non così drasticamente perlomeno. Alla genetica si affianca ormai da anni la ricerca in campo epigenetico, che ci dimostra quanto gli stimoli ambientali possono condizionare l’espressione genica, e quindi l’attività delle cellule del nostro corpo: questo impatto non è immodificabile (a differenza delle mutazioni), ma se non intercettato può produrre malattia.

Nello studio dell’inquinamento ambientale e dei numerosi interferenti endocrini spesso ci si accontenta di sapere che il tale inquinante è “sotto la soglia” di tossicità…ma la sommatoria di tutti i “sotto soglia” con cui il nostro organismo si trova ad avere a che fare che impatto ha? Non esiste una soluzione semplice, una sostanza miracolosa: esiste la somma di tutti i piccoli e grandi sforzi che si possono fare per migliorare la nostra vita, per ridurre il rischio di ammalarsi, per contenere le conseguenze delle nostre malattie. E lo strumento principe è la prevenzione.

Si rivolge alla persona sana, col fine di potenziare fattori utili al mantenimento della salute o di correggere gli eventuali fattori causali delle malattie, attuando quella che si definisce “riduzione del rischio” (prevenzione primaria). Riguarda la promozione di stili di vita sani: un esempio è la campagna contro il fumo. Non c’è malessere (percezione del paziente) e non c’è malattia (percezione del medico).

Si rivolge al soggetto già malato, anche se in uno stadio iniziale: mediante la diagnosi precoce di malattie in fase asintomatica (programmi di screening) mira ad ottenere la guarigione o quantomeno limitarne la progressione (prevenzione secondaria). Due esempi esempio possono essere la mammografia, o la colonscopia. Non c’è malessere, ma c’è (ci può essere) malattia.

Si rivolge infine al soggetto affetto da una patologia ad andamento cronico o irreversibile, ed ha come obiettivo quello di contenere gli esiti più complessi, limitando la comparsa di complicazioni tardive ed invalidanti (prevenzione terziaria). Ad esempio la gestione del paziente diabetico o la gestione integrata del malato oncologico. Ci sono sia malessere che malattia.

Negli ultimi anni si è aggiunta un’altra forma di prevenzione: quella della medicina non necessaria o della iper-medicalizzazione: è necessario che gli interventi siano appropriati (prevenzione quaternaria). Qui si pone il problema del malessere senza malattia e ci torna alla mente il principio originario “primum non nocere”: non danneggiare il paziente.

Tutto questo va contestualizzato in quello che sono il nostro stile di vita, il luogo in cui viviamo e il suo livello di inquinamento, il nostro modo di alimentarci: ci vogliono cultura, cautela e impegno. Ma il gioco vale la candela.

Gli strumenti a nostra disposizione, oltre alla accurata raccolta anamnestica, alla visita clinica, sono la possibilità di valutare lo stato e il funzionamento del sistema immunitario mediante l’analisi del pannello linfocitario e la valutazione delle citochine salivari, lo studio del micobioma intestinale e di tutte le implicazioni locali e sistemiche che uno stato di disbiosi sottende, la possibilità di valutare gli estrogeni urinari e di correlarli con gli altri fattori di rischio per lo sviluppo del tumore della mammella e tutto quello che l’evidenza ci metterà a disposizione nel tempo.

Dott. Gabriele Spadacci